Definita la base del difetto di memoria associativa degli anziani

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 04 giugno 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Un aspetto ben caratterizzato del profilo di cambiamento della memoria umana nell’età avanzata è la riduzione dell’abilità di ricordare le associazioni fra elementi che singolarmente sono bene ricordati. Si tratta di un cambiamento molto rilevante e significativo, se si tiene conto che in età matura la capacità di fare collegamenti concettuali è migliore di quella dell’età giovanile e può talvolta compensare la riduzione dello span di ricordo a breve termine e di apprendimento collegato alla memoria semantica. Pertanto, la riduzione della capacità associativa tra memorie è uno dei principali cambiamenti nel profilo cognitivo che accompagna la transizione dall’età matura a quella avanzata.

Un’altra differenza, rilevata in studi morfo-funzionali, tra la mezza età e l’epoca della vita caratterizzata dall’atrofia corticale senile, è la riduzione della selettività dell’attività cerebrale associata a prove sperimentali. Ordinariamente, sulla base della selettività fisiologica, le configurazioni funzionali che rispecchiano il tipo di attività (patterns di attivazione cerebrale), diventano progressivamente distinte ed individualizzate fra le varie prove sperimentali comunemente impiegate per lo studio dei correlati morfo-funzionali cerebrali. La riduzione della selettività o perdita di differenziazione, de-differenziazione, è stata rilevata per la memoria episodica, spesso ridotta nella vecchiaia, ma non nella memoria semantica che, nelle forme ordinariamente valutate con test sperimentali, è spesso conservata negli anziani.

Cristina Saverino e colleghi hanno adoperato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per verificare l’ipotesi di lavoro di una specifica riduzione in selettività – negli anziani – dell’attività cerebrale durante la codificazione associativa (associative encoding), contrapposta all’ipotetica conservazione del pattern fisiologico nella codificazione degli elementi (items encoding), e verificare se questa riduzione predice la prestazione di memoria associativa. Lo studio ha soddisfatto le aspettative degli autori, fornendo dati non ambigui (Saverino C., et al. The Associative Memory Deficit in Aging Is Related to Reduced Selectivity of Brain Activity during Encoding. Journal of Cognitive Neurosciences – Epub ahead of print doi: 10.1162/jocn_a_00970, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: University Health Network Toronto Rehabilitation Institute; University of Toronto; Rotman Research Institute at Baycrest, Toronto, Ontario (Canada).

Prima di sintetizzare i contenuti dello studio qui recensito si propone qualche nozione introduttiva sulle principali forme di memoria cosciente umana.

“La memoria dichiarativa o esplicita, ossia quella che è presente e disponibile alla coscienza del soggetto nei suoi contenuti, che possono essere facilmente richiamati e comunicati verbalmente, è a sua volta distinta in memoria semantica, ossia la memoria per dati e nozioni che tipicamente si impiega nello studio scolastico, e memoria episodica, ovvero la memoria per fatti ed eventi dell’esperienza di vita, sia autobiografici sia riguardanti persone e circostanze delle quali si è testimoni. Nella memoria semantica sono convenzionalmente inclusi i nomi di persona ed ogni tipo di denominazione, i concetti e le astrazioni di significato espresse linguisticamente da locuzioni, giri di parole, definizioni tecniche, disciplinari o dottrinarie, inclusi gli enunciati matematici e i regolamenti, così come brani in precedenza memorizzati, quali classificazioni, poesie e preghiere[1].

La memoria episodica è da molti autori considerata sinonimo di memoria autobiografica perché ordinariamente valutata chiedendo la rievocazione di brani di vita vissuta. In senso stretto è episodica e non autobiografica la memoria che riguarda eventi e fatti di cui si è testimoni, ma che non sono parte della propria vita. Un esempio è quanto si può verificare durante un lungo viaggio in treno. Può accadere che si assista all’incontro di due persone, poniamo un uomo e una donna che non si conoscono, e si trovano per caso ad essere vicini di posto e che, in quella condizione, fanno la conoscenza, simpatizzano e giungono fino al punto di scambiarsi effusioni, per poi litigare e, infine, fare la pace. Ricordare e rievocare questi fatti è una facoltà che rientra nel concetto di memoria episodica[2], mentre ricordare il nome di questi viaggiatori appartiene ad un processo ascritto alla memoria semantica. L’esempio dell’esperienza del viaggiatore, spettatore di eventi che non lo riguardano direttamente, introduce ad una forma di memoria episodica non autobiografica che spesso è oggetto di studio in condizioni di saggio sperimentale. È evidente che questa forma di ricordo è in questione quando si vogliano rievocare episodi che riguardano i protagonisti di un film o di una fiction televisiva, la cui trama è vissuta come esperienza mediata dalla percezione visiva degli eventi, in una forma ben distinta dalla lettura di un brano, che possiamo assimilare al compito di apprendimento scolastico mediato dalla concettualizzazione di nozioni.

Nella memoria episodica sono importanti due aspetti: la concatenazione degli eventi e la qualità delle circostanze; entrambe sono riferite al tempo dell’esperienza del soggetto.”[3].

L’esperienza comune ci rende tutti edotti della riduzione di prestazioni cognitive legate alla memoria con l’avanzare dell’età e si ritiene che la ragione principale di questa manifestazione involutiva consista nella riduzione di efficienza dei processi elementari per perdita di cellule e connessioni dovuta all’invecchiamento cerebrale. Chi non ha presente quelli che gli Americani e gli Inglesi chiamano i senior moments, ossia l’improvvisa amnesia per un nome pronunciato spesso o la perdita del filo del discorso non causata da un’interruzione? Eppure, nonostante la ragionevole supposizione che all’origine vi siano i processi che determinano la riduzione di volume di ippocampo e neocorteccia, si conosce ancora poco dell’esatto sostrato neurale dei cambiamenti funzionali e dei deficit che si accompagnano alla senescenza.

Consideriamo ora lo studio di Saverino e colleghi.

Un gruppo di giovani adulti in buona salute psichica e fisica ha funto da gruppo di controllo per gli adulti anziani dei quali si voleva esplorare il cambiamento funzionale. Entrambi i gruppi sono stati sottoposti a scansioni tomografiche in risonanza magnetica funzionale durante l’esecuzione di un compito di codifica di immagini di oggetti e case sulla base di istruzioni per un’associazione o per un elemento. Un test di riconoscimento vecchio/nuovo è stato somministrato fuori dello scanner di fMRI. Per la rilevazione dei patterns di attivazione dell’intero cervello sono stati impiegati strumenti standard (agnostic variates analysis; split-half resampling). Le configurazioni di attivazione cerebrale rilevate consentivano di predire la codifica degli elementi contrapposta a quella associativa per stimoli che successivamente erano correttamente riconosciuti.

È risultato che gli anziani avevano rispetto ai giovani una memoria associativa meno efficiente, mentre la memoria per i singoli elementi era molto simile nelle due età. Le prove di codifica di associazioni, rispetto a quelle di codifica di elementi, potevano essere previste con minore possibilità di successo negli anziani rispetto ai giovani, indicando che i patterns di attività cerebrale correlati al processo associativo erano meno distinti e definiti nel gruppo degli anziani.

È importante sottolineare che la maggiore probabilità di predire codifiche associative è risultata associata ad una migliore memoria associativa dopo aver tenuto conto di età e prestazione in una batteria di test neuropsicologici.

Considerati nel complesso, i risultati emersi da questo studio avvalorano la nozione che una caratterizzazione distintiva neurale nella codifica supporta la memoria associativa e che una specifica perdita di selettività nel reclutamento neurale sia alla base dei difetti di memoria  associativa che si accompagnano all’invecchiamento cerebrale.

 

L’autrice della nota ringrazia la professoressa Monica Lanfredini per la collaborazione nella redazione del testo e invita alla lettura degli articoli di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-04 giugno 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] In classificazioni dei tipi di memoria basate principalmente sulla durata (es.: memoria sensoriale, della durata di pochi millisecondi; memoria a breve termine e working memory; memoria a lungo termine; ecc.) le informazioni autobiografiche, così come le preghiere imparate da bambini e ricordate per tutta la vita, si attribuiscono ad un comparto speciale della memoria a lungo termine detto permastore (“magazzino permanente”).

[2] Ricordiamo che si tratta di un concetto che, come quelli corrispondenti a tutti gli altri tipi di memoria di questa classificazione, non è scientifico, ma può dirsi operativo, ossia pragmaticamente utile e corrispondente ad una entità definita in chiave logico-empirica su una semplice base intuitiva.

[3] Note e Notizie 07-05-16 Una convinzione sulla memoria umana smentita dai fatti.